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UMBRA PERCHIAZZI – nota critica

Le tele di Umbra Perchiazzi hanno i colori dell’arcobaleno, sono immagini nelle quali si può vedere la speranza! La leggerezza del colore apre ad un senso di ampia spazialità, che bene si accorda con la dimensione aerea dello spirito, luogo di trascendenza ed evanescenza, in cui l’elemento corporeo viene come trasfigurato ed innalzato, al di là di ogni pesantezza ed umano senso di gravità, che vorrebbero appiattirci, schiacciarci, verso il basso. Le forme delle immagini rappresentate, mai troppo definite, si aprono a molteplici chiavi di lettura visiva.Sempre, però,si accompagna un intimo senso di ulteriorità, che sembra voler proiettare chi osserva verso altre dimensioni, altri luoghi, altri spazi. Spazi che dilatano le anguste geometrie dell’animo, fino a toccare vertici di spiritualità visiva, attraverso i quali forme e colori si fondono con un profondo senso di fiducia, di misericordia, di amore. È un sentimento d’intima religiosità quello che pervade l’intera opera pittorica dell’autrice, un sentimento che travalica ogni confine confessionale, per affratellare ciascuno con l’altro – che è  in sé e fuori di sé -  in un comune codice del dolore e della sofferenza, al quale nessuno può sottrarsi. È questo dolore che  Perchiazzi vuole afferrare e trasfigurare nei suoi quadri, per trasformare ogni frammento in forma, ogni gemito in canto di lode e di ringraziamento.

Luca Bezzini
Professore di Filosofia, Cantante





Non sono un critico d’arte. Posso solo esprimere con semplicità ciò che sento di fronte alle opere di Umbra.
C’è un termine tedesco che esprime il sentimento che provo: Sehnsucht, a metà tra nostalgia e anelito.
Nostalgia di un mondo perduto e anelito a ritrovarlo.
Se l’arte rappresenta l’espressione della parte più nobile del nostro sé in forme sensibili è anche vero che costituisce un potente invito a squarciare quel velo che ci fa vedere solo la realtà degli effetti, delle contingenze, della provvisorietà.
Ci nasconde quello che il Buddha chiamava il permanente.
I colori, le forme, le atmosfere di opere come Alla Soglia, Mare di Coraggio o Ri-nascita, solo per citarne alcune, imbarcano l’anima di chi vi s’immerge in un viaggio verso l’esplorazione della verità di se stesso, mentre Fra Cielo e Terra, Antichi e Nuovi Misteri o Nuovo Giorno lo conducono alla soglia dell’essenza del mondo.
Un viaggio non attraverso una dimensione di diminuita realtà, quasi onirica, ma alla scoperta di un grado più elevato di realtà, quella delle cause e, al tempo stesso, un’anticipazione di quella visione più unitaria, coerente, del mondo cui tutti aneliamo.
Contemplare animicamente questi lavori suggerisce l’interiore certezza che le immagini di oggi si trasformeranno nella natura di domani.
Una natura spiritualizzata, di cui l’uomo, finalmente, non sarà solo spettatore ma co-creatore.

Piero Cammerinesi
Giornalista





Due sono i rischi che incontra ogni essere umano nel suo processo evolutivo: un eccesso di spiritualizzazione ed un eccesso di materializzazione. Diventare troppo aerei, rarefatti, lontani dalla concretezza del mondo creato o immergersi troppo in profondità nella dimensione minerale, fino a non riuscire più ad accogliere alcun segnale celeste.
Si tratta, a ben vedere, degli stessi rischi, degli stessi eccessi, in cui è caduta l’arte figurativa dell’ultimo secolo, segnato da un dualismo che ancora la tiene per molti versi prigioniera e poco efficace nella sua missione catartica, curativa e dunque sanamente religiosa. Abbiamo conosciuto le avanguardie storiche, a partire dal Futurismo, che come rovescio della medaglia di una proclamata “ossessione lirica della materia” hanno sposato sempre più l’astrazione. L’essere umano, la realtà che lo circonda trovavano così espressione figurativa in linee di forza, in macchie di colore, in una tendenza a geometrizzare l’esistente. È noto che nelle opere astratte di Kandinskij, di Mondrian, di futuristi come Balla e Russolo, agiva uno stimolo spirituale, una ricerca delle energie invisibili che si muovono e danno forma al mondo percepibile per mezzo dei sensi. L’ultima tappa di quel processo fu forse l’espressionismo astratto di Jackson Pollock, dove la creazione artistica sfociava nella cosiddetta “action painting”, nel puro gesto dionisiaco, in una volontà fisica sfrenata. La domanda che sorge al cospetto di questi traguardi artistici è però: dov’è l’uomo? dov’è l’essere umano? quell’essere che le Scritture dicono fatto ad immagine e somiglianza di Dio? C’è, ma frantumato nel colore, nelle linee, rarefatto, appunto astratto. Potremmo dire, troppo spiritualizzato.
La pittura del secolo scorso ha però conosciuto una tendenza diametralmente opposta, impostasi proprio con il “ritorno all’ordine” sociale e culturale che spense gran parte dei fermenti avanguardistici che accompagnarono i bagliori della prima guerra mondiale e il sorgere dei totalitarismi. L’Unione Sovietica propagandò il “realismo socialista”, il nazifascismo riesumò la plasticità greco-romana. Qui troviamo l’essere umano, ma non nella sua essenza, nella sua tendenza a divenire qualcos’altro, ad accogliere lo spirito. Tutto diventa mineralizzato, monumentalizzato, dai contorni ben definiti e stabiliti. L’evoluzione, la libertà, si arresta. Come i momenti di vita fissati per sempre in una fotografia. Ed è infatti, l’illusione di una riproduzione fotografica del reale che s’impone, con la pretesa di controllare il mondo della materia attraverso l’ideologia, un pensiero già pensato, privato di vita. Non c’è più traccia di spirito, dunque. Tutto è materia, solida e impermeabile.
Per un’arte dell’avvenire serve però qualcos’altro: una via mediana, d’equilibrio fra il troppo spirito e la troppa materia, fra il colore sconfinato e le rigide linee di chiusura. Ed è questa l’arte che troviamo nelle opere di Umbra Perchiazzi: opere che si muovono appunto Fra Cielo e Terra, fra i due elementi opposti e complementari. Accolti pienamente gli impulsi donati agli artisti da Rudolf Steiner (a sua volta ispirato dagli studi di Goethe) nel corso delle sue conferenze sulla teoria dei colori, la Perchiazzi trova con maestria questo equilibrio fra colore e linea, fra spirito e materia: equilibrio che diremmo intrinsecamente cristiano, al di là di ogni declinazione confessionale, proprio per la compresenza del divino e dell’ umano.
Steiner suggeriva infatti di dipingere partendo dal colore, non dalla forma delimitata con il disegno. È il colore che deve diventare forma, come lo spirito dà forma alla realtà concreta. E i colori chiedono di venire sperimentati “moralmente”, poiché in loro si manifestano realmente esseri interiori, esseri spirituali che non devono rimanere linee di forza o macchie. Dunque nessun astrattismo arido, ma nemmeno piatta imitazione della realtà. Perché non imitando, ma creando qualcosa di invisibile agli occhi, l’arte è degna “interprete della natura”.
E’ così che si procede per Rendere sacro il quotidiano, come recita il titolo di una della opere esposte, dove dal magmatico nero “immagine di ciò che è morto”, secondo Steiner, mineralizzato, come il carbone, sorge, spinto dal rosso “splendore del vivente”, una colomba, immagine dello Spirito Santo. Colomba di un bianco che “rappresenta l’immagine animica dello spirito”, ovvero la connessione di noi esseri incarnati con la nostra origine. Così è corretto, anzi terapeutico, rappresentare soggetti sacri come quelli scelti dalla Perchiazzi: Francesco d’Assisi, Giovanna D’Arco, Parsifal, San Nicola, Lazzaro e soprattutto San Michele. Proprio quel Michele che,  secondo le comunicazioni di Steiner, indica all’umanità del nostro tempo il giusto equilibrio cristico, la via mediana percorsa dal viandante che deve fuggire un eccesso di spiritualità disincarnante e un eccesso di materialismo refrattario alle influenze celesti.


LUCA NEGRI
Giornalista, Scrittore





Mi sono domandata perchè sono così tanto entusiasta dei quadri di Umbra.
Per prima cosa mi colpì il fatto che ha davvero uno stile suo proprio.
I soggetti che lei dipinge mi piacciono tutti. Trovo fenomenale l'uso dei colori, sia negli acquerelli che nei  dipinti ad olio.
In tutti i quadri si può vedere una forza, un vigore, una certezza, una saggezza, molto movimento e un carattere maestoso.
Umbra rende visibile il mondo spirituale in tutti gli aspetti. Non mi stanco di guardare i suoi quadri. Vedo anche una grande dinamicita'. Tanti esseri spirituali si mostrano.
Il quadro “Solitudine” è stato ispirato dalla mia musica. Il titolo parla da sé, la solitudine è necessaria per poter fare un sviluppo spirituale. In questo quadro vedo anche “La Nuova Gerusalemme”, promessa!
Forse il più interessante è il quadro “Biografica Karmica”. Per me è un lavoro di riconoscimento, in cui diverse vite si uniscono. Straordinario dipinto, bello e ricco di colori.
Per me osservare i quadri di Umbra Perchiazzi è come un ‘tornare a casa’.

Annelies Rhebergen,
Musicista, compositrice
Olanda

















Un video :

http://vimeo.com/51814604

con alcuni lavori di Umbra Perchiazzi ed un'intervista